Vai al contenuto

FREETIME magazine “Ortopedico in Missione”FREETIME magazine “Ortopedico in Missione”FREETIME magazine “Ortopedico in Missione”

  • di
Pietro Di Falco

0001000200030004Pietro Di Falco

Parliamo prima un po' di te. Quando hai deciso che, da grande, avresti fatto il tecnico ortopedico?

È difficile da spiegare, ma nella mia vita esiste un filo conduttore che guida le mie scelte. Quando ho intrapreso quest’articolato percorso di studi, non comprendevo bene cosa sarei andato a fare “da grande”. Tutto è diventato più chiaro quando mi affidarono il mio primo paziente, mi trovavo a Firenze e ricordo come se fosse ieri come cambiarono i suoi occhi. Dopo due anni in carrozzina per la prima volta si rimise in piedi grazie alle mie protesi, i suoi occhi erano di nuovo pieni di vita di gioia e durante i suoi nuovi primi passi, io ero lì al suo fianco. In quell’istante capii perché avevo scelto di fare quel lavoro. Ridare speranza, ridare la gioia di vivere.

Spiegaci meglio in cosa consiste il tuo lavoro.

Principalmente sono un protesista, ma tratto anche scoliosi e attraverso i miei plantari propriocettivi tratto anche problemi posturali. Mi piace definirmi un “Tecnico Ortopedico - Posturoconsapevole. Ho abbandonato la scia della classica ortopedia, a mio avviso troppo cruenta e incompleta, per abbracciare una nuova medicina, il mio sogno ed obiettivo è creare un anello di congiunzione tra l’Avanguardia e le Tecnologie della medicina classica occidentale, e le competenze olistiche della medicina orientale. Cercare dunque di scoprire le cause che inducono una patologia e non curarle semplicemente gli effetti.

Dove lavori adesso e cosa ti ha spinto o portato a lasciare la tua terra natia?

Attualmente vivo a Verona, collaboro con l’ORTHOMEDICA di Massimo Pulin, una delle più grandi ortopedie d’Italia che realizza protesi ed ortesi su misura e sono il Coordinatore per l’Internazionalizzazione di ICORA (International Council for Orthopaedics Rehabilitation Activities). L’Africa è sempre stata il mio sogno nel cassetto, ho sempre sentito un richiamo atavico da parte di questa magica terra. Quando ho ricevuto “la chiamata” da parte della Cooperazione Italiana allo Sviluppo non ho esitato un attimo a lasciarmi tutto alle spalle a partire per ciò che sapevo già che mi avrebbe cambiato la vita. La mia terra Natia è la Sicilia e l’ho lasciata da quasi dieci anni e non importa quali mari e terre attraverso, lei resta sempre nel mio cuore.

So che, insieme ad un'equipe veterinaria, hai anche salvato un pony. Raccontaci questa esperienza

Mi trovavo a Trieste dove ho lavorato per due anni circa, un giorno ricevetti una chiamata da parte di un ingegnere biomeccanico, il quale mi chiese se ero disposto a collaborare con un’equipe per la realizzazione di una protesi sperimentale per un pony che rischiava la vita. Ricordo il tempo trascorso insieme all’ing Avaro davanti a modelli 3D di cavalli per cercare di creare un modello di protesi che potesse essere bio-compatibile e funzionale. Adattare le componentistiche umane non fu facile ma il risultato fu memorabile. Oggi Cipollina non è più tra noi, ma sono felice che abbia trascorso i suoi ultimi giorni in piedi.


0002

Ad un certo punto della tua vita ti si è presentata l'occasione di lavorare in Libia. Raccontaci come è andata e come ti hanno preparato.

Tra la proposta di Missione e la partenza sono trascorsi quindici giorni, non ho quasi avuto il tempo di metabolizzare dove stavo andando e cosa stavo andando a fare. Un addestramento completo richiede settimane, ma io avevo pochi giorni e troppe cose da fare tra cui, trovare una sistemazione al mio Dobermann, lasciare il lavoro e i miei pazienti, lasciare casa, effettuare le dovute vaccinazioni, etc. L’addestramento si è dunque ridotto ad un intensivo di tredici ore presso Alisei ONG a Milano. La parte più dura fu il capitolo “Misure Passive e preventive di Sicurezza”. Non è facile immaginarsi ostaggio e mantenere la calma.

 Di cosa ti occupavi, in particolare?

Il codice Missione era “ALI3.1”, dovevo prestare appoggio ai centri ortopedici di Tripoli e Bengasi al fine di migliorare l’assistenza a favore dei feriti di guerra e dei disabili amputati. In altre parole, sfruttando i pochi (talvolta scaduti o inadeguati) materiali presenti nei centri, dovevamo protesizzare quanti avevo perso gli arti durante la rivoluzione contro Muhammad Gheddafi e formare il personale tecnico locale al fine di renderlo autonomo nella realizzazione di protesi all’avanguardia anche dopo il nostro rientro in patria. È stato per me motivo di orgoglio professionale poter introdurre la mia visione dell’ortopedia e trasmettere il messaggio che una protesi non è semplicemente un “pezzo di legno” ma un “organo vivente” e va quindi creato con il giusto amore e dedizione.

Cosa ti ha lasciato questa esperienza?

Ho iniziato a scrivere un diario delle mie esperienze dal titolo Autobiografia non Autorizzata di un Visionario Idealista, mi piacerebbe rispondere a questa domanda citando un paragrafo di questo: “[…] il Pietro che adesso sorvola i cieli dell’Europa non è lo stesso di 4 mesi fa. L’Africa ti cambia, l’Africa di mette a nudo, l’Africa fa uscire cosa realmente alberga dentro te. Ti ritrovi a fare i conti con i tuoi demoni, con le tue paure. Io non ho paura dei miei demoni, aleggiano attorno a me come avvoltoi sopra la testa di un pellegrino che attraversa il deserto. Ma in realtà loro sono la mia forza, la loro presenza nel cielo è la prova tangibile che sono vivo e che sono in cammino.”.

0003

Quanto è cambiata la tua visione sugli esiti dei conflitti che, fino a ieri, conoscevi solo attraverso uno schermo televisivo?

Una scala gerarchica mondiale regge le redini di un complesso e strutturato apparato burocratico decisionale. Le religioni sono sicuramente ai vertici di questa criptata piramide d’orata. Uno dei sigilli di questi accordi è custodito dentro il parco di San Francesco in Assisi (territorio mistico e neutro), il suo nome è, “La Campana di Pace”. Da cosa scaturisce l’accordo? Immagina un castello di carte basato su credenze comuni, anche se di “semi differenti”, solo se Cuori, Quadri, Fiori e Picche collaborano a un progetto comune, il castello reggerà e sarà imponente; ma al contempo tanto più è imponente tanto più diventa delicato da gestire e mantenere in piedi. Mentre dunque i media illuminano le pedine estremiste mosse a fini politici, i grandi esponenti supervisionano e coordinano il Grande Gioco dell’Equilibrio del Mondo. Non mi addentro oltre altrimenti Vi chiudono la rivista.

Tornerai ancora ad operare in Libia o in altre zone disagiate?

Ho in programma di ripartire presto per la Libia con un nuovo programma che ha come obiettivo costruire una nuova sanità con protocolli italiani. Per questo motivo sono socio fondatore e amministratore della LITACO, network d’imprese tutte MADE IN ITALY che in questo difficile contesto storico libico ma anche italiano, vuole dare risalto alle Nostre aziende ricreando in Libia una sanità ad alti standard europei. All’interno di questo progetto è anche coinvolto ICORA che metterà a disposizione i propri docenti per formare il personale libico. L’amicizia che lega i nostri due paesi è e sarà la base per una forte e duratura collaborazione volta a migliorare la qualità di vita degli ammalati e dei disabili africani.

Sei giovanissimo, ma hai già una carriera affermata. Cosa vedi nel tuo futuro e dove ti vedi?

Sinceramente con questa domanda mi spiazzi un po’. Io non ho idea di cosa sarà il mio futuro e credo che questa sia la mia più grande forza. La mia mente è così in evoluzione che talvolta io stesso non riesco a seguire a pieno i miei processi cognitivi. Io sono del parere che l’unico modo che si ha per controllare il futuro sia vivere con piena consapevolezza il proprio presente. Usando però un po’ di fantasia, mi piace immaginarmi anziano, disteso “all’ombra dell’ultimo sole” come il pescatore di De Andrè, con la stessa grinta di oggi ma con più maturità e saggezza ad osservare con orgoglio una sanità diversa, che anche grazie al mio contributo operi veramente con e per il malato.

00040001000200030004